testi anni 80
In “Scritto con la luce. Fotocine in Italia 1887-1987”, 1987
Ecco la copertina de “II Fotografo. Giornale Illustrato”, pubblicato a Milano nel 1855: mostra un fotografo che riprende un porto, e, alle sue spalle, disegnatori, incisori, tipografi. Il fotografo è visto come tramite fra la realtà e la diffusione della sua immagine. In quegli anni, tuttavia, la fotografia non veniva utilizzata dalla stampa bensì dagli illustratori, che poi incidevano manualmente una matrice in legno (xilografia). Sul primo numero de “La Nuova Illustrazione Universale”, del 1873, l’articolo di presentazione affronta appunto il problema delle difficoltà tecniche nel passaggio dalla fotografia all’illustrazione: “A Milano, a Torino, a Firenze, a Napoli, si trovano alcuni buoni disegnatori; ma nelle altre città mancano affatto […]. Bisogna spedire un artista da Milano […]. Bisogna che il nostro corrispondente faccia il disegno su carta e ce lo mandi. Giunto a Milano, un altro artista disegna la stessa scena sul legno, quindi passa il legno all’incisore […]. Il legno passa quindi all’officina di clichage che ottiene un’impronta metallica dell’incisione”. Naturalmente gli incisori saranno ritenuti più validi proprio se sapranno animare con persone o dettagli inventati le troppe statiche riprese fotografiche. La fotoincisione, cioè la riproduzione fotografica che, attraverso un retino, permette l’ottenimento diretto di una matrice metallica per stampa “a mezzatinta”, sarà più tardi la scoperta fondamentale: e la fotografia moltiplicherà il suo effetto per migliaia di copie. L’importanza dell’illustrazione fotografica in una nazione come l’Italia, che nel 1871 conta il 68,8% di analfabeti, diventa ben presto fondamentale. Nel 1885 “L’Illustrazione Italiana” pubblica un’immagine fotoincisa e a partire dal 1889 le illustrazioni fotografiche appaiono sistematicamente. Verso il 1890 la selezione tricromica in ripresa e poi in stampa tipografica offrirà anche una parziale e costosa soluzione al problema della fotografia e dell’editoria a colori.
In nessun campo come nella fotografia i problemi tecnici si intrecciano a quelli della ricerca scientifica, ed i linguaggi creativi si intrecciano alle mutazioni del mercato e dei costumi sociali. Esemplare al proposito è la vicenda che unisce i nomi Ganzini e Namias, nella Milano tra la metà dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento. Proviamo a raccontarla. Giovanni Battista Ganzini, nato nel 1835, apre a ventisette anni uno studio, ove si dedicherà soprattutto al ritratto (riprenderà spesso, tra l’altro, i suoi amici della Scapigliatura artistica milanese, come Tranquillo Cremona) e studierà poi metodi inediti per le riproduzioni litografiche a colori. Muore tragicamente nel 1878, mentre ispeziona il cantiere di un nuovo atelier in via Unione: alcuni parleranno di delitto, proprio in connessione alle formule grafiche messe a punto, e di cui poi non si troverà alcuna carta. Il lavoro è però continuato dalla moglie Carlotta, con il nuovo marito, il polacco Gabriel. Due dei quattro figli di Giovanni Battista, Udina e Mario, guideranno dalla fine del secolo il grande stabilimento in via Dante. Mentre la prima fa la ritrattista, specializzandosi nei bambini, Mario fonda invece una piccola foto industria con Rodolfo Namias. Questi è nato a Modena, nel 1867, ha fatto il chimico ed è un po’ il leader nelle ricerche fotochimiche italiane. Al congresso di Firenze nel 1899 tiene due applaudite relazioni, una sulla nomenclatura fotografica, un’altra sui progressi della chimica. La ditta Ganzini Namias, in via Santa Maria Segreta, si sviluppa in parallelo alla nuova rivista “II Progresso Fotografico”, edito dai due a partire dal 1894. I cataloghi della ditta Ganzini Namias – che prefigurano la struttura commerciale del grossista, come tuttora è viva – costituiscono ancor oggi una preziosa miniera sulla tecnologia di ripresa e laboratorio a cavallo del secolo. Il montaggio delle fotocamere italiane Alba, la vendita di lastre (alcune prodotte in proprio) e di prodotti chimici, sostengono la produzione teorica di Namias, le sue proposte e i suoi consigli condensati in numerosi manuali (ne scriverà in totale circa trenta) e nelle lezioni della privata Scuola Laboratorio. Poi le strade divergono. Namias sposa Ille, sorella di Mario Ganzini, ma contemporaneamente questi apre da solo un nuovo grande negozio in via Solferino, trasferisce lo stabilimento a Niguarda, inaugura addirittura delle filiali in Libia. Negli anni Venti, alla morte di Mario, la Ganzini verrà poi assorbita da Michele Cappelli, destinato a sua volta – come vedremo – a far confluire la propria azienda un decennio più tardi nella Ferrania. Rodolfo Namias invece si dedica totalmente al “Progresso”, e alle sue scoperte. Anticipa i fratelli Lumière nel processo di inversione a colori mediante la dissoluzione dell’argento con ossidanti. E’ lo stesso processo che sarà alla base delle pellicole invertibili Agfa e Kodak negli anni Trenta. Namias è uno scienziato disinteressato: come mette a punto un nuovo procedimento lo diffonde o attraverso le pagine della rivista oppure in una relazione a qualche congresso internazionale. Scienziati inglesi, francesi, tedeschi gliene daranno pubblicamente atto. Egli ospita nelle sue pagine artisti e scienziati, inventa nel 1927 il trattamento di stampa artistica chiamata resinotipia. Sul “Progresso” si affrontano anche, agli inizi degli anni Trenta, le questioni dell’estetica fotografica, soprattutto quelle connesse allo sviluppo e al superamento del pittorialismo. Namias morirà nel 1938: il figlio Gian Rodolfo e il nipote Paolo continueranno fino ad oggi a pubblicare con successo la prestigiosa rivista.
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