testi anni 2000
in “Italia. Ritratto di un Paese in sessant’anni di fotografia”, a cura di Giovanna Calvenzi, Edizioni Contrasto Due, Roma 2003
Una serie di rapidi appunti sull’esordio in Italia – nel secondo dopoguerra – dei settimanali fotografici d’attualità, non può evitare almeno qualche cenno sui modelli storici di diffusione della cultura iconica nel nostro giornalismo. Dall’inizio del 900 e cioè dal consolidarsi dell’uso del documento fotografico, per lunghi decenni i lettori italiani si divisero tra L’Illustrazione Italiana (fondata nel 1873) e La Domenica del Corriere, edita dal Corriere della Sera nel 1899 e ispirata al modello della napoletana Tribuna Illustrata (1890). I lettori de L’Illustrazione appartenevano all’alta e media borghesia urbana, ed erano attratti da un affascinante cocktail di incisioni xilografiche e tavole fotografiche, che illustravano i miti artistici e mondani prediletti dalle élite del giovane stato unitario. Le grandi tavole a colori de La Domenica, disegnate con scenografica fantasia da Achille Beltrame (e più tardi dal suo erede Walter Molino) erano invece riservate ai drammi italiani, e a ogni terrificante evento planetario, per gli occhi di un lettore-massa a mala pena alfabetizzato. Questa, pur differenziata, versione immaginaria del mondo, e delle sue vicende storiche, continuerà a prevalere lungo gli anni del fascismo – che vi applicherà la sua propaganda – come conseguenza della mancata integrazione tra la cultura letteraria dei redattori e quella ‘tecnologica’ del linguaggio fotografico. Che al contrario si andava diffondendo sulla stampa dei paesi industrializzati, in Europa e Usa. Da noi, anche quando la fotografia finirà con l’imporsi, attraverso la stampa in rotocalco – negli anni 30 – la sua funzione resterà figlia del giornalismo di penna. Per le stesse ragioni, il nostro grande cinema, anche quello della stagione neorealista, risentirà della nostra tradizione teatrale e melodrammatica; e più tardi la nostra televisione rimarrà suo malgrado erede delle artificiali atmosfere di Cinecittà. Finisce la seconda guerra mondiale (narrata in extremis, sul fronte italiano, dai fotoreporter di Life come Capa o Seymour) e subito a Milano debutta un coraggioso outsider dell’editoria, Gianni Mazzocchi. Che nel drammatico 1943 aveva già indicato, col primo annuario Fotografia un possibile rinnovamento del nostro linguaggio visivo. Mazzocchi fa uscire nel 45 L’Europeo, diretto da Arrigo Benedetti, un allievo di Leo Longanesi, geniale fondatore di Omnibus (1937-39)… che però a sua volta aveva già guidato a Roma dal 1939 al 42 un’altra testata settimanale, Oggi. Omnibus e Oggi, secondo la filosofia longanesiana, inserivano foto isolate, dette anche ‘allusive’, come una specie di sottolineatura emotiva (o meglio intellettuale), in mezzo agli articoli. Le illustrazioni di Cesare Barzacchi, il fotografo che materialmente realizzava le ipotesi visive di Longanesi, incarnavano queste velleità letterarie un po’ forzate: vecchi oggetti da rigattiere, scorci urbani, figure di emarginati. Non si trattava certo di denunce sociali, né le due testate si potevano definire organi di opposizione al fascismo… eppure i due settimanali erano stati entrambi soppressi. Benedetti e Mazzocchi capiscono che ora, tra le macerie fisiche e morali del Paese, non c’è posto per simboli obsoleti, e rinnovano tutto. Formato più grande, pari ai quotidiani, e cento fotocronache drammaticamente impaginate, a scuotere l’occhio del lettore. Anche i titoli sono spregiudicati e il tono degli articoli sembra invitare i lettori ad inoltrarsi ‘laicamente’ sulla strada ignota della democrazia, coi suoi scandali, con i mille ignoti retroscena, non sempre chiariti da provvidenziali flashes. Benedetti ed i suoi redattori (tra cui Tommaso Besozzi e Camilla Cederna) non credono però al moderno fotoreportage d’autore. Come del resto non ci crede il nuovo Oggi, l’altra testata che l’editore Angelo Rizzoli affida a Edilio Rusconi dal ‘46. Rusconi cerca e trova subito una platea alternativa a L’Europeo: lettori nostalgici se non del regime fascista, del perduto prestigio sociale d’anteguerra. Casa Savoia, i gerarchi sopravvissuti, le saghe familiari Mussolini e Petacci. Al contrario de L’Europeo, Oggi predilige fotoservizi esclusivi, commissionati alle agenzie; cui ben presto seguiranno i famosi toni morbidi del flash ‘indiretto’ ad opera di Guido Jarach.
E le neonate agenzie cui Benedetti e Rusconi si affidano sono soprattutto la Publifoto di Vincenzo Carrese (con il magistrale Tino Petrelli), quella di Tullio Farabola, o la Giancolombo News Photo. Le formule grafiche, pur diverse, tendono ad ingabbiare inesorabilmente le immagini, a tagliarle senza pietà. Diverso è invece il caso del terzo grande rotocalco uscito dalle macerie nel ’46, contemporaneamente a Oggi. Tempo, edito da Aldo Palazzi aveva anch’esso conosciuta una fortunata anteprima con Mondadori (tra il 1939 ed il 43) sotto la guida di Alberto, il figlio del fondatore Arnoldo, e con l’esperto appoggio di Indro Montanelli. In quei primi anni si era tentata l’importazione della formula Life, attraverso i foto-testi realizzati in coppia tra redattori e produttori di immagini. Qui aveva esordito Federico Patellani, assieme all’avventuroso collega Lamberti Sorrentino. I due erano riusciti a imporre l’uso della camera 35 mm senza flash. E accanto a loro – e all’art director Bruno Munari – completavano l’equipe fotografica un gruppo di collaboratori che poi avrebbero brillato altrove: gli architetti Giuseppe Pagano e Enrico Peressutti, il regista Alberto Lattuada. E ora il nuovo Tempo di Palazzi, diretto da Arturo Tofanelli, vuole ridare spazio a Patellani e Sorrentino, le cui immagini sembrano opporsi a quelle dei fotocronisti d’agenzia concorrenti. Sembrano più grigie, ma più disarmate e credibili. Li segue nello stile il giovane Carlo Cisventi. Ritorniamo ad una domanda di fondo. Attorno a questi tre grandi settimanali (e ad altri che li seguono dal 1948 come La Settimana Incom e Settimo Giorno e in seguito Le Ore) … come cambia in realtà la cultura visiva della società italiana ? Nello Ajello, nel suo fondamentale contributo al volume La storia della stampa italiana (Laterza 1976) cita alcune tirature lungo gli anni 50. Se Oggi sale da 500 a 650mila copie, Tempo da 150 a 450mila, L’Europeo scende da 200 a 180mila… in vetta rimane pur sempre con oltre 900mila copie la vecchia Domenica del Corriere. Ma accanto ad essa, proprio negli anni che precedono l’arrivo della TV, sono vendutissimi anche i fumetti, da Grand’Hotel ancora disegnato, a Bolero Film e Sogno testate rivali (Mondadori e Rizzoli!) tra i fotoromanzi. Vi leggiamo, e osserviamo, eterni contrasti d’amore sullo sfondo del dopoguerra, oppure vicende storiche sceneggiate con grande ingenuità nella mimica degli attori, e con risparmio nelle scenografie… Ancora una volta, eccoci di fronte al persistere dell’anomalia italiana. I fumetti e i fotoromanzi diffondono in milioni di famiglie – nella cornice di un paese politicamente diviso in due blocchi, ma senza alternanza – le immagini di vicende ‘mistificatorie’, che in sostanza ne ritardano la maturazione culturale.
Eppure lo sviluppo generale dei consumi, l’inizio dei flussi migratori da Sud a Nord, la trasformazione del Paese da agricolo ad industriale, mettono in luce, anche nell’informazione, delle attese ben diverse. E i piccoli annunci che presentavano brillantine, svegliette, dadi per brodo, sardine in scatola, macchine per cucire, lasciano il posto alle automobili utilitarie, alle lavatrici, alle linee aeree. I nuovi ceti medi più acculturati e moderni sembrano pronti ad altri settimanali, ad altre immagini. Alla fine del 1950 si presenta Epoca, diretta dal redivivo Alberto Mondadori. Il quale spera – valendosi del collaudato tandem Cesare Zavattini-Bruno Munari – di introdurre definitivamente anche da noi la prediletta formula Usa di Life e Look. La cover-story che apre il primo numero Liliana ragazza italiana, realizzata da John Phillips, propone una sorta di tributo al neorealismo, con personaggi quotidiani contrapposti ai penosi vip dei giornali concorrenti. Durerà poco Alberto Mondadori, sostituito da Renzo Segala e poi da Enzo Biagi, e non avrà seguito l’utopia populista di Zavattini. Epoca rimarrà però la testata più aggiornata e attenta al nuovo reportage fotografico. Importerà i servizi Magnum di Cartier Bresson e Capa, quelli di Eugene Smith o di Cecil Beaton; e costruirà un’équipe interna di fotografi-inviati, cui verrà offerta autonomia e dignità nella presentazione delle immagini firmate. Su Epoca esordirà Mario De Biasi, di cui colpirà il memorabile racconto dell’insurrezione ungherese (1956). Ma su Epoca avrà sempre più spazio, in ampi inserti a colori, anche l’offerta di itinerari esotici in Africa, Giappone o America Latina, esplorazioni di vette ed abissi marini, presentazioni di capolavori dell’arte. Dall’onnipresente Patellani al sub Raimondo Bucher, dallo scalatore Walter Bonatti a Folco Quilici, ai grandi viaggiatori come Fernand Gigon o Fosco Maraini… le pagine di Epoca porteranno nei modesti salotti italiani il gusto di una ininterrotta avventura su carta patinata. Dal 1950 al 1955 la tiratura sale da 200 a 500mila copie.
Col suo cosmopolitismo aggiornato (e sempre filo-atlantico, come si diceva allora) Epoca spinse sempre più i concorrenti sulla sponda opposta, verso un devastante gossip fotografico…popolato da principi e contesse, attrici in attesa di bebè o di divorzio, da sciagure familiari e delitti efferati, condito da eccitanti rivalità. De Gasperi contro Togliatti, Lollo contro Loren, Bergman contro Rossellini, Maria Josè contro i Savoia, Edda Ciano contro i Mussolini, Modugno contro Villa, Fabrizi o Walter Chiari contro Sordi o Totò. In questo diluvio di mezzi busti in interno (oggi fonte preziosa di indizi sul design domestico dei personaggi mito…) era purtroppo sempre più raro il richiamo alle vicende davvero ‘drammatiche’ della società italiana. Fanno eccezione alcuni servizi su Tempo e Epoca dedicati alle alluvioni del Polesine, alla condizione dei nostri emigrati, alla descrizione dei cicli tecnologici nell’industria mineraria, dell’auto o del petrolio, al lavoro dei nostri creatori d’alta moda, o a pochi altri temi alternativi. Un’eccezione, proprio nello stile fotografico, è rappresentata da Il Mondo, ironico settimanale liberal diretto da Mario Pannunzio (altro antico allievo di Longanesi) uscito tra il 1949 e il ‘66. Con Ennio Flaiano quale eccezionale photo editor. La sua tiratura ridotta, attorno alle 15-20mila copie, e la sua preferenza alla foto isolata rispetto al reportage, non ci permettono alcun confronto con gli altri settimanali in rotocalco. Il Mondo restò tuttavia un mitico traguardo per i professionisti free-lance, o anche per i fotoamatori agguerriti, che avevano nel cassetto delle stampe bianconero di forte impatto ‘creativo’, e che su quelle pagine cominciarono ad imporsi (Caio Garrubba, Paolo Di Paolo, Antonio e Nicola Sansone, Piergiorgio Branzi, Gianni Berengo Gardin). Addirittura attorno al Mondo – e anche attorno a Vie Nuove e a Noi Donne, che fiancheggiavano i partiti di sinistra – crebbe la ‘scuola romana’ dei fotogiornalisti, coraggiosi globe-trotter che durante le soste dei loro itinerari professionali vendevano personalmente pacchetti di foto ai più noti periodici europei, come Paris Match, Stern, Guardian eccetera. Portatori di rigore politico collettivo, ma di neo-romanticismo individuale (secondo la calzante definizione di Ermanno Rea, uno di loro) i fotogiornalisti romani non riuscirono però a gestire adeguatamente la loro produzione, a imporsi al posto delle agenzie nei settimanali a grande tiratura che si producevano a Milano. Tra questi c’è da segnalare una new entry nel 1957: Gente, fotocopia di Oggi con cui il direttore Rusconi, lasciata la Rizzoli, inizia la propria attività di editore.
A suo modo fa eccezione anche la nascita, sempre a Roma, de L’Espresso che Arrigo Benedetti (conclusa l’esperienza a L’Europeo) dirige a partire dal 1955. L’Espresso riprende il tono politico radicale (antifascista, anticomunista e anti DC ) che appartiene all’élite de Il Mondo, e ripete il formato gigante del primo Europeo. Lancia graffianti polemiche contro l’Italia ‘degli scandali’ economici e politici. I grandi fotoritratti-caricatura dei ministri (opera soprattutto di Vezio Sabatini ) scontornati in mezzo alle pagine, l’ironia contro clero e notabili, segnano per vent’anni la politica visiva del settimanale. Il quale fiancheggia anche l’evolversi ‘felliniano’ della mondanità nella capitale, presentandone con complicità gli episodi scandalosi, ma non troppo.
Siamo agli anni 60 e la nostra rievocazione è costretta a concludersi. Ormai la rivalità vera di tutti i rotocalchi è nei confronti della Rai TV, che in meno di un decennio ha ipnotizzato le famiglie italiane. Malgrado ciò, le star del piccolo schermo sono oggetto di interviste adoranti, e contemporaneamente si spostano anche gli investimenti pubblicitari. Trionfano i servizi ‘promozionali’ cioè la pubblicità occulta. E crolla definitivamente il valore narrativo ed ‘evocativo’ delle inchieste fotografiche.
Non tutte le testate gloriose, di cui abbiamo descritto l’ascesa, dureranno ancora per molti anni. Tempo chiuderà nel 1977, L’Europeo nel ‘79, Epoca durerà fino al ‘97, mentre escono tuttora Oggi e Gente, pur lontani dalla formula e dalle punte di diffusione degli esordi. Come nel resto dell’Europa, e negli Usa, prosperano oggi i news-magazine in formato ridotto. Una massa di piccoli fotoritratti ai vip in primissimo piano, su una colonna, e qualche ‘apertura’ a doppia pagina su fatti già intravisti al telegiornale. In Italia la battaglia che vede ogni settimana Panorama (lanciato da Mondadori come mensile nel 1962 ) contro L’Espresso (diversissimo da quello antico di Benedetti) è ora combattuta soprattutto attraverso i gadgets multimediali allegati alle copie. Videocassette, CD Rom, DVD ripropongono ai lettori musica e immagini in movimento, le fiction più spettacolari già viste al cinema o in televisione. Manca qualsiasi forma ‘documentaria’, o comunque di linguaggio che possa sostituire in qualche modo il vecchio modello del foto-reportage.
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