testi anni 2000
in “Abitare”, settembre 2000
Nella Galleria Sozzani, a Milano, appaiono i pannelli bianchi, sottili, isolati come gli alberi in un bosco. Si visita la mostra di Franco Grignani, tra luci mutevoli sulle immagini. Nel bosco-metafora Grignani galoppa in sella al suo genio creativo. Come in continua fuga, ci sembra, dalle convenzioni, dalle caselle stilistiche. La mostra – conclusasi in giugno – curata da Giuliana Scimè (una studiosa cui va dato atto, nel quotidiano lavoro sul Corriere della Sera, di notevoli intuizioni critiche, e spesso di un liberatorio gusto polemico…) si autolimita alla Fotografia sperimentale 1927-1964: ma noi possiamo leggervi l’avventura professionale e creativa di un protagonista della nostra comunicazione visiva, della nostra cultura tout-court. Andiamo per ordine. Il futurista Grignani (1908) è subito attratto dall’occasione sperimentale che il linguaggio fotografico offre. La scoperta dell’inquadratura dinamica, asimmetrica… i rapporti luce-materia dello spazio italiano, tra glorie classiche e promesse tecnologiche… Grignani, come molti colleghi architetti (Pagano), registi (Lattuada), grafici (Steiner, Veronesi), cerca negli anni Trenta, con la Rollei 6×6, una privata reinvenzione del visibile. Uomini, statue, architetture, superfici artificiali. Tutto si presta a una frenetica rilettura, sulla scia delle avanguardie senza confine del Novecento. Grignani, in particolare, ammetterà il suo debito verso Xanti Schawinsky (1904-1979) che viene dalla Bauhaus e che lavorerà nello studio di Boggeri. Eccoci. Tra le rovine del secondo dopoguerra ora si spalancano le camere oscure, e fanno riemergere, con Grignani, altri artisti anziani e giovani (tra essi Erberto Carboni e Max Huber). Che si inoltrano negli invitanti spazi della grafica pubblicitaria ed editoriale. Alcuni si gettano a rinnovare con dinamica fantasia gli schemi tipografici di libri, giornali, manifesti. Altri, come Grignani, mantengono la fotografia al centro del proprio interesse visivo. Il suo percorso negli spazi della pubblicità durante il ventennio 50-70 resta memorabile, come le inconfondibili campagne per Cyma, Montecatini, Pirelli (qui gli annunci sono sublimati anche dai disegni della moglie Jeanne) e quindi per Zegna, Dompè, Alfieri&Lacroix. Anche se poi curiosamente Grignani ha rimosso questo suo lungo impegno di graphic designer durante il boom dell’industria italiana, le sue opere hanno fatto scuola per centinaia di colleghi e allievi, e per i giovani studiosi dell’immagine, com’era chi scrive. Franco Grignani si toglie alla sera il suo famoso camice bianco e continua a produrre per sé altre immagini fotografiche, secondo nuovi interessi visuali, che non è facile definire schematicamente a parole. Egli riprende segmenti materici di cui è irriconoscibile l’origine; sfuoca volti, li deforma e li annulla con retini grafici; spia vetri, carte, plastiche, attraverso tubi pieni di luce ondiforme; distrugge i toni del bianconero e reinventa i colori offerti dalle nuove pellicole invertibili. Flou, distorsione, tensione; un progetto totale e utopico di controllo della nostra percezione, che Grignani teorizza come ricerca di pulsioni inconsce, come misteriosi “sguardi laterali”. In realtà Grignani frantuma la riconoscibilità – il mito documentario – della fotografia, perché vuole evadere dalle molte convenzioni visuali in cui lo stringe il suo lavoro di designer. Accanto a un’intensa opera di art-director (si pensi alla rivista Bellezza d’Italia, inventata per i farmaceutici Dompè tra il 1949 e il 1958…), Grignani riesce però a portare le sue tensioni astratte nei messaggi creati per alcuni committenti. Ecco gli annunci esemplari e straordinari per l’azienda grafica Alfieri&Lacroix con inediti accostamenti “poetici” tra segni e concetti verbali. E poi, già dalla seconda metà degli anni Cinquanta, il nostro autore riprende sfuocati (o mossi) i suoi fogli di retini… e mille diverse sfere, lamelle, pattern vibranti: nuove deformazioni per azzerare ogni dimensione fisica. Il galoppo di Grignani, negli anni seguenti, cambia ritmo. Si chiude l’avventura nella grafica, mentre si accumulano nel suo atelier le opere a tempera, con base acrilica, con tecniche miste, spesso partendo dalla tela fotosensibile. Le ultime opere “pittoriche” di Grignani, peraltro assenti nella mostra, conservano tutta l’eco della vicina stagione fotografica, o meglio si leggono come momenti di una mai conclusa stagione “ottica”. Per altri vent’anni, fino alla sua scomparsa, nel 1999, Grignani – reindossato il camice bianco – ha guidato gli assistenti alla stesura del bianco e del nero, lungo contorni di nitore assoluto. Eppure, le geniali sequenze di fluida geometria che hanno illuminato il capitolo estremo della sua esperienza… sembrano nascondere e contenere tutti i volti, i ritmi, i gesti, le cose che in lontani attimi erano stati trafitti dal suo sguardo. E raccolti dal suo obiettivo.
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