testi anni 2000
intervento al convegno in ricordo di Gabriele Basilico, Triennale di Milano, 15 febbraio 2013; in seguito pubblicato su “Il Manifesto/Alias”, 23 febbraio 2013
Gabriele Basilico (1944) è studente di architettura al Politecnico di Milano nel 1968 e negli anni seguenti. La fotografia sociale, negli anni 70 (ben illustrata dalla recente mostra del Comune di Milano a Palazzo Reale) è contraddistinta da una ossessiva lettura militante degli avvenimenti e delle manifestazioni. Nella coppia ‘politica’ formata da Giovanna Calvenzi e Gabriele (che si sono conosciuti quando Gabriele ha 19 anni, nel ‘63) è la prima la più impegnata. Si sposeranno nel ‘74. Dunque un sodalizio di 50 anni esatti. Io ricordo (ma avevo nove anni più di Gabriele) le discussioni sulla scelta dei ‘soggetti’ della fotografia politica. Avevamo concluso che non avesse più senso riprendere le manifestazioni in modo propagandistico, e trionfalistico… ma che dovevamo rivolgere gli obiettivi verso il cuore dei problemi che le manifestazioni affrontavano.
Così Gabriele – alla fine degli anni 70 – passa dal racconto delle mobilitazioni collettive al racconto complessivo della sua città: un deposito visivo di storia, problemi, contraddizioni
I ‘Ritratti di fabbrica ‘ non possono nascere se non da una consapevolezza sociale. Rivedendo i suoi provini (scatti con Nikon 35 mm) troviamo oltre alle fabbriche anche famiglie, artigiani, bambini che giocano. La difficoltà vera sembrava quella di affidare ad una descrizione ottica istantanea, il racconto di un lungo percorso nel tempo. Come aveva intuito Goethe in realtà noi vediamo (oggi, quindi, fotografiamo) ciò che sappiamo… e forse ciò che prevediamo.
Subito dopo – divenuto professionista a tempo pieno – Gabriele rinuncerà a fotografare le singole case, le ‘abitazioni per gli architetti’. Non gli interessa estetizzare i singoli corpi edilizi, che apparirebbero avulsi dall’ ambiente circostante… fatto di altri spazi, e di traffico, arredi urbani, di cittadini in movimento. Non crede più alla prospettiva di un volume isolato, pura gratificazione per il progettista.
La città sarà dagli anni 80, per il suo sguardo, il contenitore dei volumi edilizi e delle condizioni sociali. Anche se Gabriele sceglie di non rappresentare direttamente queste ultime. Ma esse restano dietro e tra i quartieri, e sullo sfondo delle distese panoramiche. Anche qui noi leggiamo quel che sappiamo, oltre il perfetto momento descrittivo di Roma, Genova, Mantova, San Francisco, Mosca, Berlino, Istanbul.
E qui in realtà il sodalizio con Giovanna – che per altro lavora come photo editor per la stampa periodica e come curatrice di archivi – diventa essenziale. E’ risaputo: dietro ogni grande fotografo c’è un grande – o una grande – editor. Mentre Gabriele punta in modo infallibile ed autonomo il suo obiettivo, Giovanna gliene propone la lettura critica, la presenta e la teorizza per lui in modo essenziale…restando sempre nell’ombra.
Ieri abbiamo visto Giovanna ricevere gli amici, nello studio, a fianco del feretro del suo compagno, disteso in mezzo ai grandi pannelli delle sue opere. Era un sonno, ci appariva come un sogno simbolico, quello di Gabriele. Noi qui stasera vogliamo abbracciare Giovanna, mentre diamo il nostro ultimo addio a Gabriele. E tuttavia sappiamo che le è affidata una grande eredità culturale, e storica, oltre che affettiva. E una enorme responsabilità. Se l’archivio di Gabriele Basilico è vastissimo, appare tuttavia semplice e aperto. Con il grande formato, con le pose sul treppiede non si fanno scatti multipli o continui. Ed è interessante l’incrocio di tecnologie tra le matrici negative su pellicola e le stampe perfette in digitale. Ma proprio perché il suo archivio è chiaro, la decifrazione dell’opera di Gabriele si farà col tempo sempre più complessa. Ci saranno letture parallele delle sue città, riflessioni sul continuo mutare dei tessuti urbani. La sua memoria – oggi contemporanea – diventerà presto il passato turbinoso del nostro urbanesimo, da valutare criticamente. Sull’archivio aperto di Gabriele Basilico, assieme a Giovanna Calvenzi, potranno chinarsi in libertà altre generazioni di osservatori. Da studiosi, da spettatori, potranno forse trasformarsi in una schiera di possibili nuovi autori … o per meglio dire di co-autori, a partire dalla sua opera memorabile.
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