testi anni 80
in “Tra sogno e bisogno. 306 fotografie e 13 saggi sull’evoluzione dei consumi in Italia 1940 – 1986”, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Isimbardi, 9 settembre 1986-19 settembre 1986), Longanesi & C., Milano, 1986
Cioè trascritti mentre si ammucchiano le copie, ed è impossibile telefonare a tutti gli amici fotografi l’esatta dimensione dei buchi, dei settori scoperti nella gran fiera dei consumi. Mi arrendo, ovviamente, al fatto che un’operazione storica sull’esistente (sulla piccola parte che riesco a visionare) non registrerà nessun fenomeno in modo sistematico. Se il rito del consumo si frammenta secondo milioni di abitudini diverse, anche la sua immagine corre attraverso centinaia di diverse scelte visive, di attrazioni e dinieghi, di entusiasmi e indifferenze. Non oso affrontare ancora una volta l’antico dilemma sulla possibilità artistica dell’immagine ottica: ma se si nasconde un nucleo di libertà estetica entro l’atto del fotografare, esso coincide proprio con la scelta personale tra miliardi di possibili soggetti. Così le preferenze verso certi temi e l’assenza di altri sono del pari significative: perché anche il fotografo creativo si comporta come un consumatore di realtà, spinto-a scegliere in determinate direzioni, suggeritegli dagli alterni mutamenti culturali.
La moda per esempio. La moda in assoluto è quella degli abiti. I discorsi sulla mutazione del vestire in questi anni si sono mescolati all’abile promotion verso certi progettisti, o stilisti, fin oltre la saturazione, e la nostra sopportabilità. Tuttavia è ancora e soprattutto tramite la moda dell’abito, la vera Moda, che si verifica nel pubblico (pur senza alcuna consapevolezza teorica) la presenza contemporanea del bisogno di consumo e del bisogno di rivelare la propria personalità. Dalla necessità tecnica di coprirsi, o di proporre il proprio corpo-richiamo, all’illusione di dare di sé una globale immagine. Così le foto proposte nel settore “moda” sono solo in parte quelle ufficiali di chi la moda produce. Mostrano piuttosto il rito di affidare ad un involucro di tessuto un certo schema di vita. La cultura produttiva, la confezione registra queste tensioni, le modifica, le impone (perché mai certe forme di scarpe scompaiono letteralmente da ogni negozio?). Diversi fotografi anche negli anni del boom economico, non hanno rinunciato a osservare con freddezza i modi del vestire, a ritrovare nel vestito l’elemento visivo per eccellenza – come e più del volto – per catturare un credibile ritratto collettivo dei propri contemporanei. Così la mancanza di entusiasmo, l’ironia, o la comprensiva pietas (ad esempio in Finocchiaro) diventano dopo anni tra i più validi connotati creativi. Potremmo chiederci: solo chi è stato cronista oggi, potrà permettersi di rivelarsi ‘artista’ domani?
Come in altre occasioni di ricerca, risulta vana la distinzione tra operatori di professione e appassionati (o amatori) della fotografia. Ed è risaputo che tutto il cammino del linguaggio fotografico si lega allo sviluppo degli strumenti, al ruolo sociale dell’autore, piuttosto che al suo status professionale. Anche le nostre immagini, in piccola scala, possono riassumere la storia della fotografia italiana. L’immediato dopoguerra vede scatti parsimoniosi su fotocamere di medio e grande formato; e vede l’autore “timoroso” di fronte alla scena che gli si svolge davanti. Il professionista è succube del committente che gli riduce al minimo gli spazi creativi; l’agiato fotoamatore riprende (e discute poi nelle mostre dei club) solo i soggetti “rassicuranti” secondo una costante di gusto pittorico, che dal cinema o dalla letteratura (il neorealismo) appare peraltro superato. Questi confini operativi, economici, tecnici – ma anche di libertà intellettuale – vengono poi annullati. Lungo più di quarant’anni questa indipendenza dalla convenzione formale (grazie anche a più agili mezzi di ripresa) sembra pressoché compiuta. I professionisti della pubblicità oggi si permettono la satira. I giovani sperimentatori tentano di vendere ai mensili patinati i loro portfolio, certi fotoamatori impegnati lavorano sul territorio con più costanza dei reporter. Tutto si mescola, tutto si prova con più libertà e più disponibilità, di tempo e soldi. Forse la possibilità di consumare più immagini, di diversificare meglio gli sguardi, ha reso più attenti al fenomeno stesso del consumo. Ne vediamo agevolmente – in questa occasione – i risultati.
Fino agli anni 60, le foto industriali richieste dalle aziende agli studi professionali venivano prodotte con un rituale tecnico preciso: grande formato del negativo, tutti i piani a fuoco, e uniformemente illuminati… e di conseguenza la necessità di esporre in lunghe pose sul treppiede, con esclusione dei soggetti in movimento. Così stabilimenti e magazzini, ma anche uffici, negozi, alberghi vengono all’occorrenza popolati di comparse che simulano, immobili, le funzioni essenziali. Anche qui ne abbiamo degli esempi (le riprese di Vittorio Villani, e altri). Sulla scena si bloccano le rappresentazioni della nascente società dei consumi. Il tempo è per così dire selezionato nello spazio grazie agli operai, o camerieri, che presentano le fasi successive di un processo. Il fermo per almeno un secondo di queste comparse costringe a gesti ancor più simbolici: così vengono concentrati nell’immagine, non solo i dati aziendali, ma anche i moduli convenzionali della regia da parte del fotografo. La sua filosofia della visione, insomma. L’uso dei grandi flashes portatili, l’applicazione industriale del reportage, le pellicole rapide, porteranno in seguito la variante dinamica. Anziché condensare nella sceneggiata un’azione fluida, si preferirà scattare di più e scegliere l’immagine più completa e naturale; o di pubblicarne più d’una. La regia interverrà cioè dopo le riprese.
In Francia e in Italia la seconda metà dell’800 vede svilupparsi, come una sorta di illusione, il laicismo illuminato, il positivismo, il socialismo umanitario. La fotografia, con la sua possibilità di estesa diffusione sociale (“arte democratica per eccellenza” la definirà il senatore socialista Paolo Mantegazza) raggiunge al passaggio del secolo il suo fulgore tecnico e il massimo di entusiasmo, come moderno esercizio di libertà espressiva. Da allora la fotografia, proprio perché processo operativo-creativo interamente controllabile dall’operatore, ha costituito sempre meglio un banco di prova per i talenti impegnati. La fase di analisi, di lavorio introspettivo del fotografo, sfocia nell’accostamento alle contraddizioni sociali; e nella loro cattura e definizione. Naturalmente tutto poi si colora d’ambiguo; ciò che è chiaro nel momento del rapporto vissuto col soggetto, può non esserlo affatto per chi guarderà successivamente l’immagine. Le culture confondono i giudizi, li ribaltano, fanno scoprire su ogni inquadratura altre pieghe, altri valori. Ma la fotografia, la proposta di un’immagine ottica rimane con alcuni suoi valori specifici, sintesi di privato e collettivo. Proprio guardando in sequenza queste pagine, erompono più che le singolarità poetiche, i tentativi di offrire sempre agli altri un determinato punto di vista materiale e concettuale. Forse è il soggetto costante dei consumi a favorire questa complicità sociale tra i fotografi e i lettori, la sensazione di essere spettatori di uno stesso consolidato rituale, con linguaggi e simboli comuni…
Tra chi guarda queste foto, la fondamentale disparità di atteggiamento sarà causata dall’età. Chi oggi ha superato i quarant’anni avrà vissuto almeno nell’infanzia gli anni di difficile austerità del dopoguerra, quando la stragrande maggioranza degli italiani era in bilico tra miseria e conforti minimali… quando la foresta del superfluo appariva subito dopo il pane e la pasta quotidiana, appena oltre la bicicletta, l’osteria, il vestito di cotone a fiori. Petrelli, Migliori, Donzelli, Pasquali, Balocchi e altri lungimiranti eroi con Rollei 6×6 offrono un’Italia dove il termine consumo equivale a spreco, nel linguaggio corrente. Ma la trasmissione di questo disagio (attraverso i fotogrammi) a chi allora non c’era, appare oggi come un’impresa nobile e un po’ disperata. Il modo stesso di riprendere è nel frattempo progressivamente mutato. Oggi è inconcepibile non consumare fotogrammi attorno alla scena prescelta, e l’iperrealismo delle copie a colori ha quasi una funzione di doping visivo. Le stimolazioni, i confronti continui offerti dalla civiltà elettronica sono alla base delle visioni disincantate e agrodolci che oggi, sui consumi, ci offrono gli autori più giovani. Addirittura Aldinucci, Tovo, Saroldi, Baresi, Tazzetti… i nuovi talenti del post-reportage, convivono con il dorato malessere del consumismo. Lo rappresentano prima che questo sia memoria, e intanto rappresentano se stessi. Non è finita. Ulteriori dilemmi saranno: per i cinquantenni capire il livello di soglia critica dei fotografi ventenni nei confronti della realtà socio-economica odierna… per i ventenni, valutare gli stenti ormai lontani, le austere lezioni di stile dei padri e dei nonni con pochi rulli. E infine per tutti, come resistere all’entusiasmo del revival…
In Italia, la mimica, i gesti, le inflessioni tra recita e canto potenziano il linguaggio verbale e fanno della conversazione uno spettacolo, che notoriamente interessa gli ospiti stranieri anche quando non capiscono. Allo stesso modo, a tavola, oltre che parlare, si mangia e beve con modulazioni e rituali complessi, di cui alcune nostre immagini danno i contorni. Nei bar o nelle trattorie si vende quotidianamente col caffè o nelle pietanze una regola sociale: la consumazione è un rituale ove si mescolano bisogni istintivi e codici di comportamento. Il consumo alimentare, specie in pubblico, serve anche al delicato trasferimento (ed esibizione) di una serie di comportamenti di clan. Attraverso e dietro le nostre fotografie scopriamo ansie gerarchiche, controversi rapporti tra clienti e addetti (come i camerieri), simbolismi affettivi e familiari, antiche insicurezze collettive. Il tavolo, o il tavolino, in altri termini potenziano il ruolo che ognuno si sente di rivestire, e permettono di estrarlo, con la scusa di far fronte a un bisogno fisiologico.
I singoli pannelli della mostra – e in grande misura il lay-out di questo fotolibro – racchiudono gruppi di quattro immagini, con la possibilità di immediati riscontri cronologici: circa quarant’anni nell’unità-spazio di un metro quadrato, o di un paio di pagine. Gli accostamenti sono per analogie tematiche (ad esempio le cassiere, o i banchi dei mercatini, o l’uso delle chitarre, ecc.) e dovrebbero permettere all’osservatore la percezione dei mutamenti temporali, attraverso il confronto dei particolari dell’immagine. La qualità fisica, strutturale, ritrova qui i suoi pregi, si afferma come linguaggio “critico” di confronto, al di là delle intenzioni degli autori, ma non certo contro i loro messaggi. Ancora una volta si presenta trionfante la fisicità. È la scorza delle cose che fotografiamo, e che più agevolmente mettiamo a raffronto. Tra le agghiaccianti figure femminili di Patellani e di Berlincioni (trent’anni di Miss Italia) corre una mutazione antropomorfica che colpisce subito, che ha ragione di ogni stile visivo, ma che nel contempo può permetterci di capire proprio lo stile visivo dei due fotografi. Al di là dei corpi, intuiamo differenti modelli intellettuali negli autori, e volendo potremmo annaspare con angoscia verso le loro filosofie. Ma il mondo complesso e oscuro delle personalità appare nella nostra occasione quasi impercorribile. È vero: per sondare la personalità degli autori occorrono delle “personali”?
Ecco dunque i fotografi che hanno osservato criticamente i consumi: ma anche quelli che li hanno favoriti, rinnovati, modificati. E quelli che li hanno subiti o all’opposto che li hanno inventati. Le ultime pagine, e gli ultimi pannelli della mostra riguardano la promozione e la diffusione dei consumi, cioè i modi dell’illustrazione pubblicitaria e il suo impatto nel territorio della società. L’oscillazione tra un’adesione acritica al trionfo industriale, e la nausea da messaggio, si verifica nella fotografia come nelle altre forme di espressione visiva snodatesi dal dopoguerra ad oggi. Insegne e manifesti ormai lontani, vetrificati in un’ingenua infanzia della pubblicità, pin-up tra le macerie… via via fino all’ossessione odierna dei maxi poster urbani, fino ai modelli televisivi che guidano acquisti, modi di vestire, arredamento, gli stessi gesti della nostra quotidianità. Eppure anche qui col tempo c’è una crescita di sensibilità degli autori, siano essi integrati (pubblicitari) e alternativi. Gli still-life sembrano acquistare una certa autoironia, un rimando di valori critici, di sottintesi tra chi scatta e chi guarda. È un’operazione che riprende e amplia quanto venne iniziato dagli artisti pop più di vent’anni fa. Guardarci nello specchio, oggettivare la nostra integrazione nella società dei consumi, significa anche predisporre delle difese. Dunque sappiamo che tra le stesse famiglie proposteci dagli spot televisivi (coppie del terziario, bambini alla toilette, nonne soccorrevoli, teen-agers scatenati ma teneroni) si celano anche degli oppositori; che l’omologazione del costume di vita può benissimo lasciar spazio a sotterranei fremiti di ribellione. Come in un quiz, potremmo scoprirli, i valorosi alieni, tra i pannelli del sogno e del bisogno.
Per finire, qualche chiarimento sui dodici capitoli in cui è divisa la sequenza fotografica Tra sogno e bisogno. Avrebbero potuto essere di meno o forse molti di più. Ma la partizione non è puramente letteraria; ha permesso un raggruppamento e un accostamento più agevole delle immagini e ha permesso di valutare percentualmente i motivi scatenanti dell’interesse dei fotografi verso il mondo dei consumi. Giorni di mercato apre la serie: sono le vendite in luogo aperto, le bancarelle, le fiere, l’antica tradizione italiana –tuttora seguita – dell’incontro pubblico tra merci e persone. Segue I prezzi della vita, dove protagonista è il negozio, il suo gestore, la vetrina, l’acquisto confidenziale oppure spersonalizzato. Ecco poi il consumo principe, anche nei valori statistici: Piatti del giorno sono le occasioni e i modi di alimentazione domestica. Mentre nel capitolo che segue, Caffè Italia, si rivisitano i tradizionali ambienti di aggregazione e sosta collettiva: bar, ristoranti, alberghi. Dallo spazio pubblico a quello privato. In Camere con specchio, valori vecchi e nuovi della casa, dell’arredo, con il ricorrere di un mobile-simbolo: il televisore. Viaggio nel tempo: come e perché ci si muove su due o quattro ruote, e il significato sociale del mezzo posseduto. Poi ancora, ne Le occasioni d’estate una sintesi dei rituali delle vacanze ed i moduli per il tempo libero. Uno tra questi nel nostro paese sembra preponderante: la musica, con e senza danze, assimilata in occasioni collettive, che il capitolo Passi di luce presenta. Corpo speciale è la sezione dedicata ai cento consumi della cosmesi, e alla trasformazione dei canoni della bellezza fisica. Dopo la parentesi Il gioco della spesa, che riguarda l’infanzia come modello di consumo, siamo ad uno dei capitoli più pieni. Confezioni Extra propone tutte le mode e i modelli di vestirsi, atteggiarsi trasformarsi. In coda L’anima del commercio, vecchia espressione per definire la pubblicità, la confezione delle merci, la loro presentazione, i mille canali visivi per proporla o imporla.
(Postilla. La raccolta e la selezione delle foto ha richiesto circa otto mesi, con visite a decine di archivi e autori, viaggi miei e di Daniela Tartaglia nelle maggiori città, contatti con circoli e gruppi fotografici, visione di almeno duemila foto e altrettante fotocopie, provini, riproduzioni varie. Non mi nascondo che anche una ricerca molto più estesa avrebbe sempre mostrato limiti e parzialità evidenti. La scelta definitiva di trecento foto non vuole avere assolutamente un carattere meritocratico. Le migliaia di immagini escluse sono servite come quelle presentate, hanno sostenuto e permesso il difficile mosaico finale. Agli autori va la nostra simpatia, e il nostro riconoscimento).
PUBBLICAZIONI ANNI 80 | TRA SOGNO E BISOGNO
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